Alle S.U. la questione su chi deve introdurre la mediazione in caso di opposizione nel procedimento monitorio
a cura dell’avv. Federico Ciaccafava
Nel quadro di una controversia relativa alla materia dei contratti bancari, la Corte di cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di rimessione alle Sezioni Unite di una questione di massima, ritenuta di fondamentale importanza, riguardante un particolare aspetto del rapporto tra il procedimento di mediazione obbligatoria e quello monitorio.
Si tratta, in particolare, della vexata quaestio costituita dallo stabilire su quale soggetto – debitore opponente o creditore opposto – ricadano le conseguenze negative dell’improcedibilità della domanda nel caso di mancata proposizione dell’istanza nel termine assegnato dal giudice ex art. 5 del D.lgs. n. 28 del 2010 (Corte di cassazione, Sezione II, civile, Ordinanza interlocutoria, 12 luglio 2019, n. 18741).
Nel silenzio del legislatore, ciascuna delle due opzioni ermeneutiche avanzate in ordine all’esperimento della mediazione, quella che grava il debitore opponente e quella che grava il creditore opposto, osserva la Corte, è assistita da ragioni tecniche.
Infatti, in linea di continuità con quanto già affermato (cfr., Cass. civ. sentenza 3 dicembre 2015, n. 24629), si può sostenere che l’onere processuale ricada in capo al debitore opponente in quanto parte interessata all’instaurazione ed alla prosecuzione del processo ordinario di cognizione, posto che, in mancanza di opposizione o in caso di estinzione del processo, il decreto acquista esecutorietà e passa in cosa giudicata. Proprio perché la parte interessata ad instaurare il giudizio di cognizione, ed a coltivarlo affinché pervenga alla decisione di merito, è il debitore opponente, su di lui dovrebbero ricadere le conseguenze negative nel caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione.
Per contro, prosegue il giudice di legittimità, può parimenti sostenersi che l’onere processuale sia a carico del creditore ingiungente.
Vale in tal senso la circostanza che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che nel caso dell’opposizione a decreto ingiuntivo, come è noto, attore in senso sostanziale è l’ingiunto che ha proposto la domanda di ingiunzione. Con la proposizione dell’opposizione la vertenza torna ad essere quella dell’accertamento dell’an e del quantum del credito in sede di cognizione piena e l’art. 5 del D.lgs. n. 28 del 2010 onera dell’attivazione della condizione di procedibilità «chi intende esercitare in giudizio un’azione».
Entrambe le posizioni espresse, specifica la pronuncia, sono in realtà proiezione di principi costituzionali.
Per quanto concerne la tesi dell’onere a carico del debitore opponente il principio ha trovato con la già citata pronuncia l’avallo della stessa Corte regolatrice che si è espressa nei seguenti termini: «attraverso il decreto ingiuntivo l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. È l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. È dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice».
Si fa quindi riferimento in questo caso, oltre che alle ragioni proprie del procedimento monitorio, ispirate ad efficienza ed economia processuale, al principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
Quanto alla tesi che addossa l’onere a carico del creditore opposto, propugnata anche dopo l’intervento della Corte da una nutrita giurisprudenza delle corti di merito, l’esigenza che viene in rilievo è quella che l’accesso alla giurisdizione condizionata al previo adempimento di oneri non può tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio tutelato dall’art. 24 Cost., come affermato da Corte cost. 16 aprile 2014, n. 98 (e non deve violare il principio della tutela giurisdizionale effettiva, come affermato da Corte giust. 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C318/08, C-319/08 e C-320/08 in relazione al tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di comunicazioni elettroniche).
Il diritto di agire in giudizio, in termini di diritto di accertamento negativo del credito, potrebbe essere compromesso dall’esecutività ed immutabilità del decreto ingiuntivo che conseguirebbe alla pronuncia di improcedibilità per non avere il debitore opponente assolto l’onere a suo carico, senza che tale ipotesi possa equipararsi a quella dell’acquisto dell’efficacia esecutiva da parte del decreto per effetto dell’estinzione del processo (art. 653, comma 1, cod. proc. civ.), la quale è conseguenza dell’inattività della parte all’interno del processo, una volta che il diritto di azione sia stato esercitato, mentre nell’ipotesi in esame l’irretrattabilità del decreto ingiuntivo, e la relativa perdita del diritto di agire in giudizio, deriverebbero dall’inattività relativa ad un rimedio preventivo rispetto al processo.
Nel caso invece di onere incombente sul creditore opposto, alla pronuncia in rito di improcedibilità dovrebbe accompagnarsi la revoca del decreto ingiuntivo, ma resterebbe pur sempre ferma la possibilità per il creditore di riproporre la domanda (anche di semplice ingiunzione).
Secondo la Suprema Corte sussiste allora il presupposto della questione di massima di particolare importanza che giustifica la rimessione alle Sezioni Unite.
Infatti, entrambe le posizioni evidenziate sono assistite da valide ragioni tecniche ed appaiono essere proiezione di diversi principi.
La questione, osserva la Corte, riveste particolare importanza perché tocca un tema sul quale «si registra non solo un ampio dibattito in dottrina ma anche un tuttora non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito, reso più acuto dalla frequenza delle questioni che in siffatta materia vengono sottoposte a giudizio».
La vastità del contenzioso interessato dalla mediazione (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), ed il diffuso ricorso al procedimento monitorio, richiedono, conclude la Cassazione, in considerazione dei presupposti evidenziati, la rilevanza nomofilattica della pronuncia delle Sezioni Unite.