DAI QUADERNI DEL CENTRO STUDI DI PRIMAVERA FORENSE
a cura di Alessia Urbani Neri – Avvocato dello Stato
La legge n.76/16, meglio nota come “Legge Cirinnà”, introduce nel nostro ordinamento giuridico, all’art. 1, due nuovi istituti: le unioni civili, disciplinate dal comma 1 al comma 35, e le convivenze di fatto, regolamentate dal comma 36 al comma 65, che hanno ricadute importanti non solo da un punto di vista civilistico, ma anche fiscale.
Viene affrontata la tematica relativa alla rilevanza del vincolo familiare nel nuovo istituto delle “unioni civili” con le relative differenziazioni con il contratto di convivenza nell’ambito delle imposte dirette e le problematiche legate all’accertamento dei redditi e all’obbligo del mantenimento.
In generale, nelle unioni civili, in assenza di una specifica disciplina fiscale da parte del legislatore, che si limita a richiamare alcune norme del codice civile e della L. 898/70 in tema di scioglimento del vincolo matrimoniale, con esclusione della legge 184/83 in tema di adozioni , nazionali ed internazionali, trovano applicazione le disposizioni normative in materia fiscale che riportano le parole “coniuge, coniugi e similari” ( ovvero familiari), non essendo applicabile in campo tributario l’istituto dell’analogia.
In definitiva, la normativa in esame estende alle coppie dello stesso sesso, che si uniscono civilmente, le medesime tutele e garanzie proprie dei coniugi di sesso diverso, uniti in matrimonio. Il primo comma dell’art. 1 richiama, infatti, l’art. 2 e l’art. 3 della Costituzione, ma non anche il 29, atteso il riferimento in detto articolo alla parola “matrimonio”, volendo escludere il legislatore ogni comparazione tra le unioni civili tra persone delle stesso sesso e il matrimonio riservato, per ora, alle sole coppie di sesso diverso.
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